Un'alleanza a ruoli invertiti nel Nord, con Bossi che diventa nei fatti il Lord Protettore di un berlusconismo declinante nella sua parabola, ma ancora capace di costruire vittorie. E un'alleanza sotterranea ma evidente a Roma con la Chiesa, che ha trasformato il Lazio in un totem, abbracciando il Gran Pagano pur di sconfiggere Emma Bonino, con i vescovi che scendono in campo nel 2010 italiano non per difendere un valore ma per dare un'indicazione esplicita di voto, come una qualsiasi lobby secolare, mondana e ultraterrena.
Al centro di questo sistema, un Cavaliere invecchiato e forse stanco, ipnotizzato dai suoi stessi malefici dopo un anno di scandali e rincorse giudiziarie, assorbito da sé oltre la normale patologia, circondato dai falsi movimenti di generali e colonnelli che preparano esplicitamente il dopo senza averne il talento e il coraggio. Un leader incapace da un anno di produrre alcunché - salvo le leggi ad personam per sfuggire ai suoi giudici - né politica né amministrazione, cioè governo. E tuttavia resta una differenza notevole, fortissima, tra il Berlusconi Premier e il Berlusconi campaigner, tra l'uomo di governo e la macchina elettorale. Quella macchina ancora una volta ha funzionato, tra vittimismi, accuse, attacchi, promesse, denunce, spostando a Roma i voti dalla lista Pdl che non c'era alla Polverini, come un alchimista. E anche questa è politica, quando riesce a convincere il Paese, e a riacchiapparlo nelle urne dopo averlo in parte perduto.
L'indebolimento a cui stiamo assistendo da un anno, dunque, non è tanto della leadership che ha una sua forza materiale e sta in qualche modo nella pancia del Paese, in un rapporto tra leader e popolo fatto di protezione reciproca, con il Capo che comanda ma chiede aiuto, quando ne ha bisogno perché si sente assediato dai disastri autofabbricati. L'indebolimento è della proposta politica e della sua capacità di guida, con il nucleo fondante di Forza Italia che ricorda la vecchia Dc declinante, negli anni in cui doveva cedere quote sempre più rilevanti di potere agli alleati con la convinzione di poter conservare il comando. Soltanto che qui la parabola non è ideologica ma biologica, nel senso che la politica e le sue scelte sono una variabile della biografia del leader, non dei valori di un partito o dei bisogni del Paese.
Sei regioni a destra, di cui quattro riconquistate, il segno del comando sul Nord, sono la cifra del successo di Berlusconi. Sotto questo risultato si allarga però la realtà di un declino che ha portato il Pdl al 26,7 per cento contro il 32,3 delle europee del 2009, il 33,3 delle politiche 2008 e il 31,4 delle regionali 2005, dove l'esito fu disastroso. E' la crepa che abbiamo segnalato un anno fa, alle elezioni europee, quando il Cavaliere ruzzolò dieci punti sotto le previsioni trionfalistiche della vigilia, grazie ai suoi scandali personali, quindi politici. Quella crepa dunque lavora, dopo un anno passato dal Premier ad inseguire un guaio dietro l'altro, con abusi di potere, forzature e prepotenze. Anzi, la crepa si allarga, tanto che senza l'energia politica - ma privata - della Lega, la consunzione di Berlusconi sarebbe evidente a tutti.
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