Un personaggio centrale ma fuori dal coro
Una manciata di film come interprete, da Ovosodo (1997) a Tutta la vita davanti (2007) e un esordio alla regia B. B. e il cormorano (2003), presentato alla Settimana della Critica a Cannes. Livornese, classe 1975, Edoardo Gabbriellini recita quasi esclusivamente nei film degli amici: Paolo Virzì, Lucio Pellegrini, e ora Luca Guadagnino, che lo ha voluto per il ruolo di Antonio Biscaglia, il giovane cuoco che entra come un detonatore nella villa dei Recchi, una famiglia della grande borghesia industriale lombarda, e porta l'amore e il dramma.
Parte di un cast straordinariamente eterogeneo, che ruba Gabriele Ferzetti ai film di Antonioni, Marisa Berenson a Visconti, Pippo Delbono al teatro sperimentale e ancora il premio Oscar Tilda Swinton e Alba Rohrwacher, nel credibilissimo ruolo di sua figlia, Edoardo è nel film un personaggio fuori dal coro ma più che mai centrale.
Come sei entrato nella pellicola della famiglia Recchi?
Ho incontrato Luca Guadagnino mentre stava iniziando la preparazione di Melissa P. Ci siamo conosciuti, piaciuti e stimati. Un annetto e mezzo dopo mi fece leggere il copione di Io Sono l'Amore come lo si fa leggere ad un amico, per sapere cosa ne pensavo, chiacchierarne un po'. Dopo un paio di lunghe conversazioni se ne uscì a suo modo, velatamente lusinghiero, mai con un complimento diretto, dicendo: "peccato che non sei una star, altrimenti saresti stato perfetto per fare Antonio". Poi si è imbarcato per una specie di giro del mondo, alla ricerca di una star ma forse nessuno aveva le mie chiappe e così è tornato da me, me lo ha richiesto e io ho detto assolutamente di sì.
Il film ha vissuto una lunga gestazione. Qual è stato il tuo coinvolgimento?
Per quel che mi riguarda, la preparazione è stata lunga ma soprattutto eccezionale. Non mi era mai successo che, visto che dovevo interpretare un cuoco, mi si mandasse a fare il training da un grande chef. Ma non solo, nel film ci sono alcune scene che non sono state montate tra cui quella in cui ci conosciamo io e Edoardo (Flavio Parenti), durante una gara di canottaggio, e per quella scena c'è stata una vera e propria preparazione atletica, io e Flavio Parenti ci siamo preparati alla Canottieri di Milano per saper remare su quelle barche.
Un attore a lezione di cucina?
Sono stato nelle cucine di Carlo Cracco, che è una persona pazzesca, un artista fuori di testa. Per un po' di tempo sono rimasto in un angolino a spiare le movenze dei cuochi attorno ai fornelli e poi ho ricevuto anche qualche lezioncina di base: come usare i coltelli, sfilettare il pesce, organizzare un piatto. Adesso per mio figlio cucino io, inventando anche abbinamenti osé, almeno per me che ero abituato alla cucina semplice di mia madre.
Chi è Antonio?
Nel film, Emma, il personaggio interpretato da Tilda Swinton, vive una sorta di risveglio, comincia a percepire un'alternativa, grazie alla figlia e al cd che trova per caso nel quale la figlia si confida col fratello. In quel momento intravede un'apertura che poi io incarnerò completamente. Io sono quello spiraglio. Il mio è un personaggio al limite del simbolico.
Il titolo, "Io sono l'amore, parla dunque di Antonio?
Indubbiamente non riguarda solo Antonio ma lui è il primo che può dirlo. L'amore è ciò che Antonio rappresenta palesemente, anche nel rapporto di amicizia col figlio di Emma. Anche lui grazie ad Antonio nutre quella parte di sé che non sta dentro le regole della famiglia. Non a caso lui e la madre hanno un rapporto molto stretto e intimo, sono simili, condividono una lingua, il russo, che gli altri non parlano.
Ho sempre pensato, anche per quanto sono megalomane, che Io sono l'amore si riferisse a me.
Com'è stato il rapporto di lavoro con Tilda Swinton?
Purtroppo non posso evitare di essere banale e retorico. È talmente brava e gigantesca e generosa che fa sembrare facile fare tutto. È la situazione in cui ho fatto meno fatica nella mia vita di attore. Tilda non ha nulla da dimostrare, non è una prima donna, ha un approccio punk; ci siamo trovati subito. Abbiamo due carnagioni opposte ma ci siamo trovati vicinissimi, forse anche per questo. Mi viene in mente un'intervista in cui veniva chiesto a Benigni com'era lavorare con Jarmusch e lui rispondeva che non si poteva rispondere a quella domanda con un termine esistente, bisognava inventarne uno nuovo. È così anche per me. Lavorare con Tilda è "lastimasti".
vai su http://cinema-tv.corriere.it/articoli/io-sono-l-amore-come-si-cucina-un-buon-film/c_03_29_93.shtml
mercoledì 24 marzo 2010
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