giovedì 22 aprile 2010

Eurostat: Italia primo debito ma deficit sotto la media

BRUXELLES - Il deficit dell'Italia nel 2009 si è attestato al 5,3% del Pil: lo conferma Eurostat, che convalida il dato del governo italiano. Sul fronte del debito, l'ufficio europeo di statistica indica un 115,8% del Pil (contro il 115,1% previsto nel programma di stabilità), ribadendo che quello italiano è stato il più elevato.

Nel 2009 in Eurolandia sono esplosi il deficit complessivo, che è più che triplicato raggiungendo il 6,3% del Pil (era al 2% nel 2008) e il debito pubblico. Stessa tendenza per l'Europa dei 27 dove il deficit/Pil sale dal 2,3% del 2008 al 6,8% nel 2009.

Oltre l'Irlanda e le Grecia, per cui la situazione dei conti pubblici è la peggiore, anche per la Spagna e Portogallo il 2009 ha fatto registrare livelli preoccupanti. Secondo l'Eurostat, la Spagna, lo scorso anno, ha avuto un deficit dell'11,2% sul Pil, mentre in Portogallo, il deficit è risultato al 9,4% sul Pil.

Marchionne: "Investimenti per 20 miliardi i sindacati si possono accontentare"

ROMA - "Faremo più o meno venti miliardi di investimenti. I sindacati si possono accontentare". E' quel che ha detto l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, al termine dell'incontro con il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola

Il ministro si è detto soddisfatto per il nuovo piano industriale della Fiat e ha affermato che lo spin off industriale aiuterà il gruppo a focalizzarsi sulla produzione in Italia. "È stata una visita di cortesia con il nuovo presidente di Fiat nei contatti continui che manteniamo con il gruppo. Abbiamo espresso un parere positivo del governo su questo piano industriale che conferma l'interesse per l'Italia", ha detto Scajola al termine dell'incontro con John Elkann e Sergio Marchionne.

Lo spin off è "un'utile iniziativa per focalizzare meglio sull'auto l'impegno Fiat. L'impegno è di aumentare la produzione auto per garantire la stabilità dell'occupazione e la crescita dei posti di lavoro", ha aggiunto Scajola.

Financial Times e Wall Street Journal dedicano ampio spazio al piano della Fiat, e in sostanza il giudizio complessivo è che "'Marchionne può farcela". Il quotidiano Usa ricorda che la separazione della parte industriale dovrebbe aiutare a togliere Fiat dal persistente sconto del suo valore di Borsa legato al fatto di essere una conglomerata. Il quotidiano della City sottolinea invece che le decisioni annunciate da Marchionne fanno parte di un piano più ampio "che potrebbe sfociare alla fine in una fusione con Chrysler".

Wall Street, la riforma di Obama "Cambiare, o saranno guai"

a Wall Street per un discorso di battaglia: parte la sua manovra di sfondamento per far passare la riforma dei mercati, superando le resistenze che l'hanno bloccata finora. Il presidente denuncia "i furiosi sforzi delle lobby" per boicottare le nuove regole. I rapporti di forze gli sono favorevoli più di prima: le accuse di frode a Goldman Sachs, la crisi della Grecia che sarà al centro del vertice del Fondo monetario, l'indignazione dell'opinione pubblica verso i superstipendi dei banchieri, tutto gioca in suo favore, mettendo Wall Street e la destra repubblicana sulla difensiva. E' la battaglia ideale per Obama, su un terreno meno insidioso della riforma sanitaria.

"La causa principale della recessione - dice Obama - è stata la crisi finanziaria, la più grave da molte generazioni. E dietro ci fu un fallimento delle responsabilità, da parte di Wall Street così come dei governi di Washington. In passato, sia sotto le Amministrazioni repubblicane che democratiche, è venuta meno la vigilanza contro comportamenti che premiavano le manipolazioni finanziarie, a scapito della produttività e dell'imprenditoria onesta. Guai se lasciamo passare questo momento, questa opportunità di cambiare".

1.336 pagine: è la più profonda riforma del settore bancario e delle regole della finanza dai tempi del New Deal di Franklin Roosevelt, dopo la Grande Depressione. E' di questa portata il disegno legislativo voluto da Obama, e già passato al vaglio di un voto importante: quello della Commissione bancaria del Senato. Un voto significativo perché ha segnalato il primo "cedimento" repubblicano, un senatore dell'opposizione è passato dalla parte dei democratici.

sabato 3 aprile 2010

"Boom" di imprese cinesi in Basilicata 1.085 in Puglia

E’ boom di imprese cinesi in Italia. Ormai hanno quasi raggiunto quota cinquantamila (precisamente 49.854) e le loro attività si concentrano principalmente in Lombardia, Toscana, Veneto ed Emilia Romagna. Dal 2002 al 2009 la loro presenza, lungo la nostra penisola, è cresciuta del 131,1%. I piccoli negozi di vicinato e gli ambulanti sono i settori dove sono più presenti: segue il manifatturiero ed in particolare il tessile, l’abbigliamento, la pelletteria e le calzature.

E’ questo il primo identikit dell’imprenditoria cinese presente in Italia elaborato dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre. “La Cina - esordisce il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi - è sempre più vicina. Ci preoccupiamo, forse, in maniera eccessiva per la concorrenza che ci viene portata dai prodotti provenienti dall’impero celeste, ma rischiamo di sottovalutare la presenza dei loro imprenditori sul nostro territorio che è sempre più massiccia e diffusa. Ormai in alcune zone del Paese alcune filiere produttive o commerciali sono completamente in mano loro. Senza contare - conclude Bortolussi - il ritorno di fenomeni preoccupanti come lo sfruttamento della manodopera e il capolarato che da decenni avevamo praticamente debellato”.

Un’istantanea che diventa davvero dettagliata quando gli esperti dell’associazione artigiani mestrina 'zoomano' sulla cartina del Belpaese. Si scopre infatti che al 31/12/2009 il maggior numero di imprenditori cinesi si trova in Lombardia (10.129); seguono i colleghi che vivono e lavorano in Toscana (9.840) e quelli che hanno scelto il Veneto come regione in cui avviare l’impresa (5.798). Mentre in Emilia Romagna sono 5.035 e in Lazio 4.587.

Al Sud a contare la più consistente comunità imprenditoriale dagli occhi a mandorla è la Campania (2.522 imprenditori), segue la Sicilia (2.077) e la Puglia (1.085). Questa la “demografia” raccontata dalla Cgia di Mestre che ha puntato la lente d’ingrandimento anche sulla cronologia del fenomeno imprenditoriale orientale.

Dal 2002 al 2009 gli imprenditori cinesi presenti in Italia sono aumentati del 131,1 %. Con punte del 406 % in Calabria, del 390, 9 % in Molise, del 387,5 % in Basilicata e del 380% in Valle d’Aosta. Nonostante la crisi tra il 2008 e il 2009 la loro presenza è aumentata su tutto il territorio nazionale del 7,8% con crescite molto interessanti in Piemonte (+12,2%), in Lombardia (+9,5%) e in Veneto (+8,9%).

Altro dato interessate è quello che concerne l’incidenza degli imprenditori cinesi sul totale dell’imprenditoria straniera presente in Italia che si attesta, ormai, all’8, 3 %. In Toscana, però, si arriva al 17, 9 %, in Veneto al 10, 4 %, in Emilia Romagna al 9, 2 % e in Campania all’8, 4 %. Infine, fatto 100 il totale degli imprenditori cinesi presenti in Italia, nel 40, 3 % dei casi si concentrano nel commercio (con 20.102 piccoli imprenditori ) e nel 32, 1 % dei casi nel manifatturiero (15.994). Di questi ultimi ben il 94,8% (pari a 15.163 imprenditori) sono occupati nel tessile, nell’abbigliamento, nelle calzature e nella pelletteria. Significativa la presenza anche nel settore alberghiero, bar e ristorazione: le attività condotte da titolari cinesi hanno raggiunto le 8.776 unità.