Scontri fra trafficanti e polizia, violenza, oltre sessanta morti. Ma la gente di Kingston si rifiuta di abbandonare il ghetto-prigione assaltato dall'esercito, e continua a idolatrare il boss Dudus, in fuga
dal nostro inviato ANGELO AQUAROKINGSTON - Gli elicotteri dell'esercito tagliano il cielo sopra Kingston coprendo il rumore degli spari e le urla di Tivoli Gardens. Il ghetto-buker del re dei trafficanti brucia di rabbia e delle pallottole della polizia. Almeno sessanta morti sulle strade: la carneficina che tutti temevano è appena cominciata e nessuno sa dire quando finirà. Lo Stato ha risposto con la guerra all'attacco dei narcos che avevano assaltato le sedi della polizia. Ma l'assedio al fortino del boss Christopher "Dudus" Coke finora ha provocato soltanto morti. E il dolore ha il gusto amaro della beffa: forse il padrino è già scappato altrove.
Il vento caldo e appiccicoso soffia dalla baia che nascondeva le golette dei pirati gonfiando il fumo che sale dai ghetti in fiamme. "There is magic in Kingston town" cantava quarant'anni fa quel signore del reggae giamaicano che si chiamava Lord Creator. Gli UB40, bianchi e più presentabili nel mondo bigotto del pop, trasformarono vent'anni dopo quella preghiera d'amore in un successo mondiale. Ma dov'è finita, oggi, la magia di Kingston?
Il Dio dei Rastafari, il Signore del reggae reso famoso dal suo sacerdote Bob Marley, deve avere girato le spalle a questo mondo se dalla Giamaica all'Africa tutto il suo giardino brucia. Nel giorno in cui la città più violenta dei Caraibi celebra la prima strage di questa guerra civile che nessuno ha annunciato, arriva dal Ghana la notizia che getta nello sconforto i fedeli del giamaicano più famoso della storia: ad Accra è andato in fiamme lo studio in cui Rita Marley, che nell'Africa agognata dal marito ha deciso di ritirarsi, aveva raccolto i nastri perduti di Bob. Stavolta nessuna violenza: un banalissimo cortocircuito. Ma non è un segno del destino? Kingston brucia e sprofonda nel terrore. Nel terzo giorno dello stato d'emergenza dichiarato dal premier Bruce Golding la capitale è chiusa per lutto preventivo. Chiusi tutti gli uffici, chiuse tutte le scuole, chiusa l'università. Dai microfoni di Radio Power 106 la voce di Wilmut Perkinks continua a ripetere: attenti, le strade non sono sicure, non lasciate le vostre case.
Il premier continua a promettere che rimetterà ordine. Ma il quartier generale del suo partito, il Jamaican Labour Party, qui su a Blemont Road, in quella New Kingston che finora almeno è sicura, sembra un fortino pronto a reggere l'assedio in arrivo da un momento all'altro. E questa sarebbe la sede del partito al governo? Un fortino col filo spinato alto così e le guardie barricate a ogni angolo. Sembra uno scherzo che proprio lì accanto campeggi l'Appleton Café: un baluardo della vita notturna intitolato a uno delle marche più note di rum giamaicano. Anche il locale, come tutto qui a Kingston, è rigorosamente chiuso. Ma alcol e politica sarebbe il male minore. Quello che qui tutti ti sussurrano ma senza farti nome e cognome è un altro slogan: droga e politica.
Bruce Golding ha tirato per lungo nove mesi prima di cedere alle pressioni degli americani e tentare di arrestare "Dudus" Coke. La sua collusione con il re della droga non è un segreto per nessuno. I servizi Usa l'hanno addirittura intercettato mentre gli parlava. E a Washington il premier aveva assoldato perfino una lobby perché facesse pressione sui palazzi del potere: lasciatelo in pace, smettetela con questa storia dell'estradizione. Adesso c'è chi sussurra che Golding si sia deciso a liberarsi di "Dudus" soltanto perché pensa di poter continuare a camminare sulle proprie gambe. In tutti i sensi: non soltanto facendo a meno dell'appoggio del re dei "don" per costruire la sua base elettorale.
La tragedia della Giamaica si chiama corruzione. Il premier, nel giorno in cui il Paese si ferma va in tv e a rete unificate accusa. Ma nessuno è innocente. Tra le migliaia di sostenitori di "Dudus" che stanno assediando Kingston ci sarebbero anche le gang prezzolate dal partito rivale del premier: quel People National Party che da mezzo secolo si alterna al potere col Jlp. Chi può dire chi è più pulito? Il Pnp è quello che trent'anni fa flirtava con Castro e faceva inquietare Ronald Reagan. Sui muri del suo fortino, ai piedi di un altro quartiere residenziale che si chiama Beverly Hills, un writer fantasioso ha scritto uno slogan che sembra un capolavoro di quel sincretismo che in Giamaica respiri dalla religione in giù: "Lunga vita all'asse dei presidenti: Obama, Zuma e Chavez". Firmato: "Revolution 09". Il faccione di Portia Simpson Miller, l'ex primo ministro e ora leader di questo partito d'opposizione, guarda la scritta dal cartellone con cui sovrasta il suo fortino: che c'entra questa signora pacioccona - la prima donna premier di Giamaica - con un caudillo come Chavez, il sudafricano Zuma e un campione della democrazia come Obama?
Non lasciatevi ingannare dal sole delle cartoline: questo è un paese di chiaroscuri. La strage di Kingston ha fatto e farà decine di vittime innocenti: ma sono giorni che la polizia e i volontari di Amnesty International, dice Maria Carla Gullotta, che qui lavora per il gruppo umanitario, implorano la popolazione di lasciare il ghetto-bunker. Macché: "Dudus is Jesus". Amen.
Adesso il blitz dell'esercito e dei poliziotti ha spinto i narcoinsorti a nuove provocazioni. Perfino l'ospedale sulla strada che collega Tivoli Gardens e il porto è finito sotto assedio. Undici i commissariati presi d'assalto. Attacco allo Stato. E la polizia ora teme che oltre a mitraglie e granate gli uomini di "Dudus" dispongano anche di lanciarazzi. Il suo quartiere è uno "Stato nello Stato": non per niente i suoi fedelissimi chiamano il boss "Il Presidente". Il suo è un impero miliardario che gli Usa hanno messo nella top ten delle narcocorporations. Eppure l'ufficio del suo avvocato, Don Foote, che segretamente starebbe trattando la resa direttamente con gli Usa, in cambio di chissà quali assicurazioni, è in un bugigattolo con un cartellino nero con la freccia, "Don Foote Attorney", che si affaccia su quella North Road che da downtown porta nella terra di nessuno degli ex quartieri giardino costruiti per la borghesia e oggi diventati impero delle gang. Michael l'autista inchioda e fa marcia indietro quando incrocia l'ennesimo posto di blocco: narcos o polizia? L'aveva detto Ross Sheil, l'ex reporter del Gleamer che qui conosce tutti e tutto: meglio non avventurarsi giù a dowtown. Ok, è andata bene, sono poliziotti ma fanno paura lo stesso sfrecciando sulle auto con i portelloni aperti e il mitra puntato nel traffico.
Questa è la capitale dell'ex paradiso che l'anno scorso - fa sapere da Roma l'ufficio governativo del turismo - ha ospitato 15mila italiani "e quest'anno ne prevede ancora di più". L'ambasciatore Enrico Guicciardi, che da Santo Domingo domina per l'Italia sui Caraibi, dice che per adesso solo Kingston non è sicura, ma che se dipendesse da lui inviterebbe tutti a starsene a casa "con la prudenza del padre di famiglia". Qui per la verità ti spiegano che se la Giamaica rinuncia a quel milione di benefattori in più allora è davvero la volta che vincono per sempre le gang.
Il custode della casa-museo di Bob Marley ha avuto anche lui l'ordine di non aprire bottega. Ti lascia scattare qualche foto dal cortile. Da qui spararono a Bob e a Rita, che rimasero miracolosamente illesi. Questo è il giardinetto in cui si vedono ancora le pianticelle dei bei tempi: ginger, basilico, menta e naturalmente marijuana, anche questa con il suo bel cartello esplicativo. Lo studio dove registrava è qua dietro: casa e bottega.
Verissimo: quella Giamaica non c'è più. Ma da un pezzo. I celebri Studio One stanno cadendo a pezzi: anche qui l'altro ieri c'erano le barricate dei narcos. E accanto al National Stadium dove si allenava Usain Bolt le gang l'altra sera hanno steso due poliziotti che soccorrevano una ragazza in moto.
Sempre in questo stadio il grande Bob fece il miracolo con il One Love Peace Concert, che siglò la tregua tra le bande armate: lo ricorda una brutta statua del re del reggae proprio lì davanti all'ingresso. Ma adesso? Per liberarsi dai pirati che la infestavano, quattro secoli fa quest'isola dovette passare attraverso una tragedia come un terremoto: il mare e la terra inghiottirono Port Royal, la roccaforte dei bucanieri. Era il 1692. Che cosa deve ancora soffrire Kingston per liberarasi dai pirati della coca e della povertà?
fonte repubblica.it
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